domenica 20 novembre 2011

Di un Servo e di un Padrone

Fu con lieve provocazione
Ché prese piede la discussione
Tra chi vantava radici gloriose
E chi aveva le mani callose.

“Io – Io non sono uno colto
Sono solo un povero stolto
Che svende quattro concetti
Ben intortati ma abietti”.

<<O mio egregio signore,
Lei è un maestro, dottore!
Io – Io sono solo un villano,
socialmente un amabile nano>>.

“Non dica grettezze mio schiavo!
Lei è nobile come il suo avo:
Lei si eleva di rango sociale
In ginocchio dinanzi al mio altare”.

<<Non mi imbarazzi, la prego,
Da lei io voglio il vero.
La nobiltà giammai mi appartiene,
mai corse di fianco al mio gene>>.

“Ribadisco l’idea se non chiara:
Con lei l’eleganza sempre fu avara.
Il sangue blu lei lo conosce
Solo per l’eco della mia voce”.

<<Ora sta esagerando, oh padrone,
Appresi subito codest'allusione
Pero’ mi sforzai a non capire
Volendo evitare, mio sire!>>.

“Tu – tu sei un misero ingrato:
Morirai presto affamato!
M’insultasti senza motivo
Per puro odio istintivo”.

Così finì l’eccitante tenzone:
In gabbia l’eterno servo pastore;
In libertà se la rise il potente
legittimato a dire e dare sentenze.

EM ©